Le emozioni parassite

Gli eventi della vita ci portano a provare diverse emozioni. Anche se è difficile dar loro una definizione precisa e pure gli psicologi, in definitiva, non riescono a metterle in una cornice teorica chiara, tutti noi sappiamo bene cosa siano.

Discorso più ostico è il come si manifestano, ed ancor più complicato il perché proviamo proprio quella emozione, proprio in quel momento, proprio in quel posto.

Tra le varie ipotesi sul nostro funzionamento emotivo, l’Analisi Transazionale propone una modello secondo cui gli insegnamenti che i genitori, o chi per essi, ci hanno dato in maniera più o meno conscia hanno contribuito a costruire le modalità di attivazione, repressione, sostituzione delle emozioni che utilizziamo quotidianamente.

Si parla proprio di Emozioni Parassite, cioè emozioni che proviamo non perché autentiche, ma perché hanno il compito di sostituirne altre, quelle vere che sentiamo, ma che abbiamo imparato a nascondere e non manifestare.

L’esempio più comune è la Tristezza che si attiva al posto della rabbia: può essere che siamo cresciuti con l’idea che mostrarsi arrabbiati è male per una serie di ragioni, anche condivisibili, e quindi si va a sostituire un emozione autentica con un’altra, la tristezza, più accettabile.

Questo a seguito di decisioni implicite, inconsapevoli, prese durante i primi anni di vita, che avevano lo scopo giusto e vitale di garantirci la sopravvivenza psichica, e talvolta anche quella fisica. Solo che poi siamo cresciuti, il contesto è cambiato, abbiamo imparato cose nuove e sperimentato nuove abilità. Il nostro meccanismo emotivo invece è rimasto lì, cristallizzatosi nelle modalità della nostra infanzia, incurante o quasi del tempo che passa.

Occorre grande consapevolezza, l’incontro significativo con l’altro e il permesso di cambiare per poter intuire le proprie emozioni come parassite, per modificare, poco alla volta, un sistema antico e polveroso, prezioso ma ormai fuori dal tempo

 


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