Molto si è ragionato sul legame tra bambino e madre, soprattutto con l’avvento della Psicanalisi nel novecento, molto meno si è detto riguardo alla relazione con il padre.
Allo stesso modo si sono puntati molto i riflettori (giustamente) sulla depressione post partum materna, molto meno si è ragionato sulle dinamiche parallele di tipo depressivo che vivono i padri.
Sembra infatti che anche gli uomini, dopo la nascita di un figlio, possano vivere sensazioni di fatica, nervosismo, ansia e cattivo umore. Può succedere che negli uomini il disturbo esordisca più tardi, ma non ci sono molti dati clinici a riguardo.
Da cosa dipende la depressione post partum negli uomini? Ci sono studi (Rholde et al. 2005) che la correlano a una diminuzione del testosterone, l’ormone maschile, nel periodo della gravidanza e successivo. Un po’ come se anche l’uomo si preparasse all’evento modificando il proprio corpo, “sacrificando” l’ormone della propria mascolinità in favore degli estrogeni, che hanno la funzione di facilitare l’attaccamento e la genitorialità.
Questo, se da una parte facilita la presa in carico del padre, dall’altro tende a abbassare il tono dell’umore, facilitando l’insorgere di stati depressivi.
Naturalmente, non è solo una questione di ormoni a scatenare la depressione, altrimenti tutti i padri sarebbero depressi….
Ci sono delle cause ambientali, relazionali e personali che vanno a incidere e a facilitare l’insorgere della DPP.
I principali a mio parere riguardano il cambiamento degli equilibri familiari, lo stress genitoriale, lo stile di vita mutato (quando non stravolto), la mancanza di sonno, ma anche la difficoltà nel reperire un modello di paternità moderna.
Mi soffermo solo su tre di essi:
I padri, inoltre, spesso sono messi temporaneamente sullo sfondo della famiglia, e le cure provenienti dalle rete di amici e parenti si concentrano sul bambino e la madre. Questo non fa altro che acuire il senso di intrappolamento e frustrazione che l’uomo, nella lenta trasformazione in padre, rischia di vivere.
È fondamentale in questi casi attivarsi, cercando di ritagliare qualche spazio per sé, confrontandosi con gli altri uomini che hanno vissuto l’esperienza di avere figli.
Credo sia necessario, infine, focalizzarsi sui propri stati d’animo, senza negarli né banalizzarli: ciò che viviamo e sentiamo ha un valore, e da qui basiamo la nostra identità. Molto meglio essere sinceri con se stessi, ammettendo la fatica e la tristezza, chiedendo anche aiuto, piuttosto che fingere che vada tutto bene e cadere in una sindrome da burnout successivamente!
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